GATTOTERAPIA (CAT THERAPY)
Dalle ricerche scientifiche effettuate sui felini negli ultimo dieci anni e’ emerso che il gatto e’ il “ medico a quattro zampe” piu’ quotato dall’uomo. La scienza ha scoperto che il ronzio che il micio produce quando gli si fanno le coccole e’ un potente antistress capace di abbassare la pressione arteriosa. Basta accarezzare il pelo, e le vibrazioni a bassa frequenza dell’amico felino, arriveranno al cervello ed al cuore con un Emissione di 20-140HZ frequenze, note per interagire positivamente con l’organismo umano, le vibrazioni hanno effetti benefici sulla nostra salute in questo modo:
- STRESS: l’esposizione alle fuse del gatto con una frequenza di 20-140 HZ riduce lo stress.
- CUORE: un follow up di dieci anni dell’UNIVERSITA’ del MINESOTA ha svelato come i proprietari dei gatti riducono del 40% il rischio di subire una patologia cardiaca.
- OSSA : frequenza da 25 a 50 HZ così come da 100 a 200 HZ sono da tempo usate in ambito traumatologico per la saldatura delle ossa dopo fratture di vario tipo.
- PRESSIONE SANGUIGNA: il veterinario Marty Becker in uno studio chiamato Healing Power 08 Pets, ha scoperto come le fusa del gatto riescono a mantenere la pressione sanguigna entro i valori normali di riferimento aiutando i soggetti ipertesi.
La Gattoterapia e’ utile per:
- Imparare a prendere la vita senza stress
- Concedersi momenti in solitudine e in compagnia
- Capire gli stati d’animo altrui
- Mangiare sano
- Curarsi internamente ed esternamente.
- Non affrettarsi e’ causa di stress e malumore
- Curare il proprio ambiente e’ salutare e benefico
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Pongo & Peggy puntata del 01 settembre 2012
Ottavia Alberto parla di Pet Therapy, verso il 38° minuto della puntata.
La Pet Therapy nasce da una realtà applicata per più di 40 anni negli USA e in diversi paesi europei, attualmente, anche in Italia con il Decreto Sirchia nel 2003 e dal riconoscimento dal Comitato Nazionale di Bioetica nel 2005 si è sviluppato un grande interesse nei confronti di questa “terapia “ che trova modalità di intervento nel campo socio-educativo, riabilitativo, sanitario, rivolgendosi a persone di ogni età che cercano di migliorare la qualità della loro vita attraverso la presenza e l’interazione dell’animale. Dall’Alzheimer negli anziani al bullismo nei più giovani, passando per le tossicodipendenze e i pazienti usciti dal coma , si allarga sempre di più la fascia di patologie e di soggetti che beneficiano di questa attività terapeutica. Ad affermare tutto ciò è l’Istituto Superiore di Sanità. In Italia non vi è una legge specifica nel settore, ma vi è un accordo stato-regioni; è vero che fa bene, ma non essendo una prestazione erogata dal Servizio Sanitario Nazionale, solo le regioni più ricche possono permettersi di avviare progetti negli ospedali pubblici. Attività e terapie sono un lavoro di equipe coinvolgendo medici, psicologi, insegnanti, assistenti sociali, operatori socio sanitari, veterinari, etologi, addestratori, istruttori e conduttori del pet, tutte figure professionali che ognuno scendono in campo con la loro esperienza e professionalità, ma insieme in un solo comune progetto con finalità, l’utente. Vi sono tre tipologie di pet therapy:
- AAA: attività con l’ausilio degli animali con l’obbiettivo di migliorare la qualità della vita di alcune persone
- AAT: terapia con l’ausilio degli animali con interventi terapeutici attraverso un protocollo e obiettivi mirati. Si tratta di una co-terapia complementare che integra le terapie normalmente usate
- EAA: educazione assistita dagli animali specializzata all’interazione dei bambini con l’ambiente, infatti sembra migliorare il rendimento scolastico e i rapporti sociali e a ridurre i fenomeni di bullismo e di abbandono della scuola. Un censimento dell’ISS in Emilia Romagna e uno studio in alcune regioni italiane, hanno mostrato un crescente interesse in questa disciplina, infatti l’Istituto Superiore di Sanità , dal momento che come accennato prima non vi sono legislature che regolano AAA e AAT, sta incrementando gli sforzi per regolare queste attività. In un futuro si spera che gli sforzi dei professionisti insieme al contributo istituzioni- normative siano in grado di rimodellare gli schemi culturali, sociali, metodologici che ostacolano questa disciplina. L’esperienza in ambiti differenti e con utenze di età diversa, da quella evolutiva a quella geriatrica, mi ha consentito di poter osservare e confrontare i comportamenti, gli atteggiamenti e le reazioni manifestate dai soggetti coinvolti nelle sedute di pet therapy. La strategia primaria d’intervento è, comune a tutti gli ambiti ed assimilabile da ogni tipo di utenza ritenuta adeguata ad interagire con i pets; partendo dal principio che individua nella pet therapy una terapia d’accompagnamento, non sostituitiva rispetto ad altre, proposta e mai imposta, non invasiva ma adattiva. Seguendo questi principi, che sono la base della psicologia applicativa, ecco come viene sviluppata la strategia d’intervento. Il primo elemento necessario per entrare in contatto con l’utenza è la capacità di creare CURIOSITA’, attraverso la presenza di un animale vivo (pet). La curiosità è dentro l’animo umano, permette di esplorare, conoscere, di partecipare, e di soddisfare l’esigenza di essere messo al corrente di una novità.
Il secondo elemento è la capacità di suscitare INTERESSE che è alla base delle motivazioni e che viene promosso dal bisogno di interazione tra l’ambiente e il proprio sé.
Il terzo elemento è l’accensione della MOTIVAZIONE, molto spesso inconscia una sorta di pulsione nuova che spinge ad agire e interagire in funzione del raggiungimento della ricompensa che può essere di tipo emozionale, relazionale, sociale e psicologica.
Il quarto elemento è la nascita del LEGAME AFFETTIVO svincolato da ogni egoistica pretesa, che può essere d’attaccamento o di adattamento. Nei soggetti colpiti a livello cognitivo e/o relazionale, questa condizione può essere rilevata attraverso segnali anche minimi ma carichi di energia intenzionale positiva.
FATTORI DI RISCHIO
Esistono fattori facilmente rilevabili come le zoonosi e particolari fobie nei confronti degli animali che potrebbero impedire l’accesso, di coloro che ne sono affetti ai programmi di pet therapy. Come ribadito prima, è una terapia non invasiva ma soprattutto proposta e mai imposta, quindi si deve procedere con molta cautela nella selezione dell’utenza. Tuttavia, conosciamo i fattori di rischio rilevabili attraverso l’osservazione durante le sedute riguardanti l’utenza e gli animali impiegati.
FATTORI DI RISCHIO DELL’UTENZA
- a) ZOONOSI (ogni malattia propagabile dagli animali all’uomo e viceversa)
- b) FOBIE nei confronti dei pets
- c) ANSIA e IRREQUETEZZA in presenza dei pets
- d) IPERATTIVITA’ in presenza dei pets
- e) ATTEGGIAMENTI di chiusura in presenza dei pets.
I punti a/b sono rilevabili attraverso un’indagine preventiva svolta con la collaborazione degli operatori che lavorano all’interno della struttura interessata all’applicazione del progetto.
I punti c/d/e, devono essere analizzati dall’equipe che conduce il progetto per capire se si tratta di comportamenti transitori dovuti per esempio alla presenza di animali indesiderati per specie, morfologia, colore, comportamento ecc.ecc , oppure se si tratta di un’amplificazione dei disagi psicologici e relazionali a causa di altre motivazioni. In questi casi, sarà necessaria una revisione del protocollo d’intervento per avere l’opportunità di modificare o sospendere il progetto.
FATTORI DI RISCHIO PER I PETS
Si tratta di segnali di stress che l’animale ci manda è indispensabile capirli sia per la salute dell’animale stesso che per la buona riuscita del programma. In questo caso come operatrice di pet therapy, mi sento di consigliare a chi vorrebbe eseguire la pet therapy con un ragdoll, di non impiegare il gatto in terapia per non più di un ora a settimana, questo per evitare stress al nostro amico, che assocerebbe il Suo compito non ad un luogo piacevole dove riceve coccole e carezze e magari qualche croccantino di gratificazione , ma un posto dove incontra sofferenza.
I segnali di stress riferiti al gatto sono: agitazione, apatia, pelo opaco, continui miagolii. Se ci rendiamo conto che il nostro gatto durante la seduta di pet therapy presenta queste manifestazioni, consiglio di rivolgersi al più presto da un veterinario di fiducia. Tutti i gatti , in particolare il Ragdoll, vengono impiegati diffusamente in situazioni particolari dove si rende necessaria un’applicazione lenta e moderata della presenza animale. Ad esempio con soggetti autistici, che mostrano qualche paura nei confronti degli animali in genere. I primi approcci sono fatti tenendo il gatto in un cestino o una borsa contenitiva adatta agli animali o cucce di plastica tale da far sentire il paziente sicuro di non essere attaccato dall’animale e nello stesso tempo anche il nostro micio si sentirà più sicuro andando in un posto nuovo a lui finora sconosciuto. Successivamente , si inviterà il paziente ad accarezzarlo senza mai forzarlo, dovrà lui essere incuriosito in seguito ad altre sedute e sentirsi pronto a farlo.
Un altro passo importante superata questa prima fase di approccio, è procedere alla palpazione con descrizione delle parti anatomiche del nostro micio: orecchie, occhi, ecc. Chiaramente il gatto deve essere prima preparato e selezionato per questa disciplina tanto delicata, ecco perché, acquistare un gatto di razza, da poi mille sicurezze per quello che riguarda il carattere dell’animale cosa che deve curare con molta discrezione l’allevatore di fiducia dove si acquista il proprio compagno, che deve garantire anche l’esonero da certe malattie anche a volte trasmettibili all’uomo e parlando del Ragdoll il suo meraviglioso pelo, morbido e setoso al tatto che soprattutto in riferimento ad una grave disabilità questa caratteristica è la prima cosa che rassicura provocando piacere nell’avvicinarsi all’animale. Quindi, oltre alla selezione primo passo importante che è una responsabilità dell’allevatore nel vendere un cucciolo, il successivo passo e la preparazione spetta al nuovo proprietario del gatto, il quale dovrà fare un corso di preparazione come operatore di pet therapy ed in più da subito, dovrà manipolare sempre il gatto, prendendolo in braccio, abituandolo a stare con la gente, anche in posti pubblici dove vi è molta gente, essere accarezzato dagli estranei e quindi prepararlo ai rumori senza spaventarsi. Questo tipo di preparazione deve avvenire gradatamente soprattutto se si considera che un cucciolo lascia l’allevamento a soli tre mesi, quindi dovrà abituarsi ad una nuova vita senza i genitori, i fratellini e il suo ambiente dove è nato e cresciuto che lui tanto adora.
Verso i sei mesi, Lo si può portare fuori, in una borsa da trasporto degli animali che si vende nei negozi medesimi, gradatamente dieci minuti al giorno aumentando il tempo col passare dei giorni, fino ad abituarlo al mondo esterno, il gatto è pronto verso l’anno alle sedute di pet therapy, prima è impossibile inserirlo in un programma in quanto i cuccioli prima di questa età sono molto giocherelloni e quindi non starebbero fermi per tanto tempo a disposizione dell’utente cosa molto importante soprattutto all’inizio, senza pensare che si farebbero dei danni allo sviluppo psicologico del gattino, intanto lo si può abituare in casa a stare dentro la sua cuccia di plastica , così quando andrà fuori il suo ambiente quotidiano, avrà qualcosa di famigliare che lui sente con il suo odore oltre che riconoscerlo con la vista. Altra cosa importante, finita la seduta terapeutica di pet therapy, al rientro a casa bisogna lasciare il gatto tranquillo di fare quello che vuole per scaricare lo stress accumulato , e mi raccomando tutte la settimane prima di portare il gatto in terapie effettuare un bagno di igiene all’animale , accompagnato anche da un certificato del medico veterinario dove attesta la buona salute del gatto, perché come sapete la pet therapy si può eseguire in diversi ambiti, da quello ospedaliero, a quello scolastico, nei diurni, RSA, carceri, comunità di recupero, a domicilio, ecc e quindi il veterinario ha un compito molto importante , infatti viene incluso nelle figure multidisciplinari quando si parla del progetto.
Altri animali, sono adatti oltre ai gatti, a questa terapia: cane, cavallo, delfino, criceti, conigli, pesci, uccelli, asini, capre, mucche, ma la mia esperienza come avrete visto si è soffermata sul mio ragdoll, TEO, che ha già fatto diverse terapie, con i bambini e gli anziani, suscitando un gran successo. A Lui, va tutta la mia gratitudine per essersi dimostrato un compagno speciale, socievole ma anche molto sensibile nel capire le varie situazioni che si sono svolte intorno a lui; una in particolare che porterò sempre nel cuore , è stata in una scuola materna di Bologna con un bambino disabile che brevemente voglio raccontare senza fare i nomi in quanto il segreto professionale è tutelato dalla legge sulla privacy.
Sono stata contattata in qualità di operatore socio sanitario in una scuola materna di Bologna per affiancare le maestre all’assistenza fisica, sanitaria e didattica su un bambino di soli 3 anni, di nome S. con un tumore alla faringe non del tutto asportabile . Per i suoi continui interventi, il bambino passa dei lunghi tempi in ospedale, allettato e quindi il suo sviluppo psichico e fisico rimane compromesso rispetto agli altri coetanei, e quel che è peggio , la famiglia fatica a gestirlo in quando cerca di accontentarlo in tutto, provocando dei danni al suo carattere, rischiando di farlo crescere viziato ed egoista. Anche a scuola, le maestre faticano a gestirlo, lui si ribella al no, scappando in bagno, non accettando le regole di gioco che vengono imposte nel gruppo. Così, intorno a lui vi sono educatori e insegnanti di sostegno ed anche una logopedista che lo aiuta nel programma didattico, un bambino, con questa patologia, fatica anche a parlare. Nel coprire il ruolo di educatore, ho notato attraverso libri, riviste di animali che S. era molto interessato, anzi mi chiedeva più volte al giorno di leggergli un libro, e in questo caso il suo grado di attenzione era alto, mentre durante i lavori didattici si faticava a terminarli e a tenerlo seduto, richiamandolo sempre all’attenzione. Così ho parlato con le maestre, e ho presentato un progetto finalizzato ai suoi bisogni di socializzazione e regole nel contesto scolastico. Il progetto è stato accettato subito dal direttore didattico, ed anche dai genitori. Così ho cominciato a preparare all’evento S. facendogli vedere sul mio telefonino il mio gatto ragdoll Teo, e lui mi apparve molto felice tanto che faceva fatica a restituirmelo.
Con il passare dei giorni, Lui me ne parlava sempre in modo assiduo, e mi chiedeva “quando lo porti Teo? “ Io gli rispondevo “fra qualche giorno” prima voglio essere sicura che state in silenzio e vi alzate uno alla volta senza gridare e spaventare il gatto. Così dopo un breve discorso con la classe sul comportamento che avrebbero dovuto avere in quell’occasione, finalmente arrivò il grande giorno. Premetto che Teo è abituato ad andare nei luoghi comuni come case di riposo , ospedali ecc, ma era una regola che i bambini volevo che imparassero, nel rispetto dell’animale.
L’incontro andò molto bene, e lo avevamo fissato una volta la settimana per un ora; in cui oltre al saluto , la carezza, e qualche croccantino, i bambini dovevano a turno prendersi cura di lui, spazzolandolo con la sua spazzola e durante questa manovra contare fino a dieci spazzolate e cedere la spazzola al compagno successivo. Tutto ciò ha un significato per S. imparare ad aspettare il proprio turno è una regola scolastica, anche dividere un momento così particolare con i compagni senza litigare per non parlare poi dell’affetto instaurato tra lui e Teo.
Tutte le volte finite le sedute , le maestre facevano fare un disegno a piacere ai bambini dove potevano raccontare un evento della giornata piacevole o spiacevole. Nei disegni di S.vi erano scene d’affetto riguardanti lui e Teo, ma la cosa più importante alla fine del percorso vi è stato un netto miglioramento del carattere di S. aveva imparato a stare alle regole, a non litigare con i compagni ed in più a partecipare al riordino del salone dove pranzavano i bimbi tutti i giorni, mettendo piatti e bicchieri negli appositi cestini per la raccolta differenziata, cosa che si era sempre rifiutato di fare. Il gruppo docenti era molto entusiasto del cambiamento e alla fine dell’anno avevano chiesto alla classe di fare un disegno su cosa gli era piaciuto di più nel programma, e S. aveva disegnato un gatto lasciando bianche le zampe e colorando gli occhi di azzurro, e dicendo ad alta voce: “a me è piaciuto di più Teo”.
Davanti a questa meravigliosa esperienza ho deciso di inserire nei programmi di pet therapy anche la femmina Gaia, inizierà a lavorare a questo progetto nell’autunno del 2012.
COME CI SI ACCORGE CHE UN BIMBO HA BISOGNO DI AIUTO
Se un bimbo si dondola, ruota oggetti, non guarda mai in viso ed è come assente, questi sono i segnali di una patologia purtroppo oggi, ancora poco conosciuta, ma i cui sintomi emergono entro i primi tre anni di età.
È importante saperli scoprire ed intervenire in tempo, anche perché spesso dobbiamo sapere che possiamo recuperare questi bimbi e c’è la possibilità di portarli ad una vita normale e non abbandonarli a loro triste destino, come tutti erroneamente, pensano.
Talvolta possono esserci bimbi troppo aggressivi o “stereotipi” cioè con movimenti ripetitivi del corpo… tipo dondolio o ripetere con le mani il gesto dello sfarfallamento… ci sono anche bimbi che in caso di forti suoni o luci intense possono assumere dei comportamenti particolari, come coprirsi le orecchie o gli occhi, e iniziare a girare in tondo o correre per allontanarsi dalla loro fonte di paura: la luce o il rumore.
A ROMA c’è un istituto (di ortofonologia) davvero all’avanguardia per la cura dei bambini autistici. In questo centro, il direttore spiega che tramite cure innovative riescono a trattare i soggetti acustici con una terapia molto complessa e lunga.
A questa terapia è stato dato il nome di “integrata relazionale”; in pratica si cerca di far uscire il bambino dall’isolamento tramite attività che gli piacciono o che abbia scelto lui stesso.
La cosa importante è la motivazione del bimbo, lui deve sforzarsi ad interagire con l’altro, chiunque esso sia.
Il traguardo da raggiungere è quello di sviluppare nel piccolo una capacità di contatto, di relazione, di farlo socializzare con l’esterno, rendendolo meno aggressivo e migliorando il suo linguaggio. Per intenderci un bambino deve riuscire tramite un oggetto, un gioco o una situazione, a condividere un’attività con un operatore socio sanitario, o un genitore.
Ed è qui che interviene il progetto della PET-THERAPY, cioè appunto una terapia basata sul contatto uomo-animale.
La Pet-Therapy è considerata una terapia che cammina lentamente, ma che con i suoi frutti arriva lontano.
Nel nostro progetto utilizziamo i gatti Ragdoll, che grazie appunto al loro magnifico carattere, sono molto predisposti ad aiutare i bimbi con queste difficoltà; in pratica la terapia si basa sull’apprendimento forzato, si presenta al bimbo sempre lo stesso stimolo, sperando che lo percepisca e lo utilizzi in futuro: LA CAREZZA!!!
Il solo contatto fisico con il gatto Ragdoll, grazie non solo al suo magnifico carattere, ma anche al suo soffice pelo, provoca nel bimbo una piacevole sensazione tattile, specie se il gesto viene ripetuto lentamente e più volte. La terapia si basa su un contatto fisico che avviene tra il bimbo e il Ragdoll, attraverso le carezze si instaura questo contatto e si cerca di far interagire il bambino con il Ragdoll, è già un risultato quando il bimbo non tira indietro la mano, e si lascia guidare da un operatore, vuol dire che il bimbo ha fiducia in ciò che gli viene proposto di fare, se poi accenna un sorriso, è chiaramente palese che ha gradito questo tipo di attenzione rivolta a lui.
Alcune statistiche dicono che si ottengono il 10% di guarigioni, sembra tanto ma noi possiamo fare ancora di più divulgando questo progetto della PET-THERAPY a tutti coloro che ancora non conoscono gli effetti benefici, che può avere su di un soggetto bisognoso di cure.
Ovviamente nel nostro progetto tuteliamo sempre la salute dei Ragdoll, tutte le sedute devono avvenire senza stress per l’animale, in un ambiente confortevole, senza rumori, e senza spaventare il nostro AMICO RAGDOLL.
Non dobbiamo fare l’errore di credere che la PET-THERAPY è una medicina che cura, in un tot di sedute, essa è una terapia, una riabilitazione, che aiuta gli stimoli e le percezioni; oggi viene anche usata per tossicodipendenti e per pazienti usciti dal coma, tutti possono beneficiare di questa terapia che si svolge con l’ausilio degli animali; oggi con questi tipi di pazienti sono stati riscontrati buoni risultati, anche con malati in fase terminale, spesso affetti da depressione, aumentando la loro possibilità di sopravvivenza.
Purtroppo in ITALIA non c’è una legislazione specifica nel settore, sebbene vi sia stato un accordo tra Stato e Regioni. Si è sancito che la pet-therapy fa bene, ma tra l’altro non essendo una prestazione erogata dal Servizio Sanitario Nazionale, solo le regioni più ricche possono permettersi di avviare progetti negli ospedali pubblici.
Il lavoro di pet-therapy viene svolto in “equipe” in cui sono coinvolti, sempre, veterinari addestratori e conduttori di pet, affiancati ad insegnanti, se ciò avviene nella scuola, medici e psicologi, se avviene in ospedali e assistenti sociali se avviene in strutture private.
Nelle scuole è molto utile, perché è stato riscontrato che è migliorato il rendimento scolastico e i rapporti sociali tra bambini, riducendo il fenomeno del bullismo e di abbandono della scuola.
Oggi per l’impiego della pet-therapy vengono utilizzati vari animali in base anche alle loro stesse caratteristiche.
Oggi è ormai consolidata l’idea che l’animale più usato e più conosciuto è il cane, ma non è così in quanto stanno prendendo piede, anche i gatti, prediletti ovviamente i RAGDOLL negli ultimi due anni, segue poi il cavallo, l’asino, il delfino, criceti e conigli…
Infatti si è sviluppato un notevole interesse nei confronti di questa “terapia di accompagnamento” socio-educativo, riabilitativo e sanitario, che si rivolge alle persone di ogni età, che desiderano migliorare la qualità della loro vita attraverso la presenza e l’interazione con un RAGDOLL.
Noi ci auguriamo che gli sforzi dei professionisti, i nostri operatori di pet-therapy specializzati con i Ragdoll, siano presto, sostenuti con un contributo da parte delle istituzioni e delle normative, sperando che i nostri operatori con la loro esperienza e il loro saper fare, siano in grado di rimodellare alcuni schemi culturali e sociali, e forse anche metodologici che oggi ancora ostacolano lo sviluppo di questa nuova disciplina.
LA PET THERAPY A DOMICILIO
E’ molto diffusa negli Stati Uniti, dove gli operatori vanno a casa delle persone bisognose con un cane o un gatto, e così soprattutto l’anziano gode della compagnia del pet, dando la possibilità di interagire anche quando la persona non è più in grado di accudirlo . Questo tipo di terapia, può essere utilizzata anche in Italia, basta che l’operatore sia preparato insieme all’animale.
LA PET THERAPY NELLE SCUOLE
La pet therapy nelle scuole fonda le sue radici intorno alla fine degli anni ’70 quando lo psicologo Frank Ascione negli USA iniziò le sue ricerche allo scopo di stabilire se la conoscenza, l’interazione e la cura degli animali domestici (pets), portati nelle scuole potesse favorire negli alunni l’insorgenza di empatia e senso di compassione nei loro confronti, ma soprattutto , se questi sentimenti potessero poi essere trasmessi in maniera del tutto spontanea ai propri pari.
A tutt’oggi, negli USA, nelle scuole di ogni ordine e grado, è presente un protocollo didattico denominato ”Educazione Umanitaria e Ambientale”. Gli alunni hanno la possibilità di seguire programmi didattici e pedagogici che hanno come obiettivo finale la sensibilizzazione nei confronti degli animali e dell’ambiente che li circonda.
E’ necessario che la relazione con un pet da parte di un soggetto in età evolutiva non può di per sé tradursi in benificio se viene a mancare la presenza del tutor, il cui compito è quello di mediare tra le istanze del bambino e le esigenze ovvero i diritti del pet. In famiglia questo comportamento deve essere assunto dai genitori che guidano la relazione , proteggendola da incomprensioni e atteggiamenti egocentrici. Le figure professionali che operano nel settore scolastico sono numerose e diversificate tra loro.
Chi opera nelle strutture statali o parastatali come insegnanti, direttori e professori, svolge il suo lavoro nell’ambito di protocolli didattici che, lasciano libertà d’azione per quanto riguarda le attività pomeridiane o alternative. In questo spazio vengono solitamente inseriti gli interventi di pet therapy nelle scuole di ogni ordine e grado, che vengono sviluppati con strumenti differenti a secondo dell’età degli studenti. Naturalmente, la presenza dello psicologo potrebbe rafforzare l’idea di sviluppare un progetto di pet therapy, sia nel settore didattico che nell’educazione ambientale e umanitaria.
PET THERAPY NELLE SCUOLE ELEMENTARI
La conoscenza delle razze feline o canine, consente un percorso storico, geografico e scientifico legato all’evoluzione di ogni razza. Allo stesso tempo si può proporre agli studenti un percorso di formazione sulla corretta gestione dell’animale, che comprende: educazione, cure sanitarie, allevamento, responsabilità civile, rispetto e senso di compassione nei confronti delle creature viventi. La novità del progetto consiste nella presenza dell’animale in classe che suscita nei bambini interesse ed emozione. Un progetto di tipo standard prevede un minimo di sei sedute per approfondire gli argomenti sull’educazione umanitaria inerenti alla razza prescelta. Molteplici benefici sono stati riscontrati in bambini affetti da deficit d’attenzione e/o iperattività. La presenza del gatto o cane in classe è in grado di attirare la loro attenzione, metterli all’ascolto, facendoli intervenire alla discussione e motivarli nella produzione di componimenti e disegni sull’argomento trattato.
Pet therapy Scuole Materne
Il progetto deve essere adeguato all’età cognitiva in questione. La presenza dell’animale visitatore può essere diversificato meglio se gatto o cane, mentre il percorso didattico viene sviluppato attraverso immagini e racconti (protagonisti gli animali presentati) che sono gli strumenti relazionali più efficaci per questa fascia di età.
PET THERAPY NELLE COMUNITA’ DI RECUPERO
In Italia, vi sono alcune comunità di recupero che utilizzano alcuni animali residenti, come metodo d’approccio nei confronti di persone difficili, demotivate e poche collaborative. A San Patrignano, all’interno di questa comunità esiste un allevamento di cani, gatti, cavalli, con alto profilo selettivo, che hanno offerto a vari ospiti di avvicinarsi agli animali, relazionarsi con loro e imparare una professione. L’approccio con l’animale deve essere motivato personalmente e non imposto. Molte volte le persone con disagio sociale, causato da dipendenza di droghe o alcool, stabiliscono un legame privileggiato, con i pets, perché la relazione non comprende giudizi e pre-giudizi di tipo morale e sociale. Questa relazione alcune volte riesce a riattivare una comunicazione e a ristabilire un equilibrio vitale, altre volte, invece instaura un legame paritario mirato alla condivisione di risorse per la sopravvivenza, come avviene in alcuni gruppi di giovani e adolescenti detti “punk bestia”, che hanno abbandonato per motivi drammatrici, il senso del vivere comune per una vita trascinata ai margini, nel degrado, tra stazioni ferroviarie ed edifici malandati.
LA PET THERAPY NELLE CARCERI
In Italia, una circolare emessa nel gennaio 1999 dal Ministero di Grazia e Giustizia, attraverso il DAP, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, consentiva di introdurre animali in visita e di presentare progetti inerenti le ATAAE a scopo sia conoscitivo che didattico. Gli animali erano ammessi solo se di piccole dimensioni( uccelli, pesci, gatti) e sotto approvazione del Direttore dell’Istituto di pena. Attraverso il DAP viene presentato un progetto denominato “ ARGO”, ideato per essere inserito nelle strutture carcerarie, a patto che vi siano i requisiti di base per la sua realizzazione. Si tratta di creare strutture adatte a ospitare cani randagi di cui i carcerati dovrebbero prendersi cura, e, una volta scontata la pena, è consentito loro di portarseli a casa. Un’altra possibilità consiste nell’opera di addestrare attraverso la collaborazione di istruttori cinofili provenienti dall’esterno, affinchè, possano essere adottati sia come cani da compagnia che da pet therapy. Questo è un progetto che potrebbe fornire una valida possibilità di riscatto ai detenuti sia sotto il profilo morale e relazionale che professionale. Ad oggi alcune strutture carcerarie hanno adottato il progetto(Sulmona, Milano, Roma, Alba, Saluzzo, Lecce)
PET THERAPY IN CAMPO MEDICO/OSPEDALIERO
Nel 1961, lo psichiatra americano Boris Levison, parlò per la prima volta di pet therapy. Lo specialista, lavorava con bambini e adolescenti affetti da disturbi psichici, e scoprì in maniera del tutto casuale, che la presenza del suo cane in studio, agevolava notevolmente il rapporto con i suoi piccoli pazienti. In altre parole, la loro attenzione non era più concentrata sullo psicoterapeuta o su sé stessi, ma era spostata sul cane, il quale si comportava in maniera del tutto naturale, distribuendo il suo affetto , senza alcun pregiudizio, qualunque fosse la condizione psicofisica dei piccoli pazienti. Con l’andare del tempo, il medico registrò un altro fattore determinante , tra i piccoli pazienti e il cane si era creato un vero e proprio legame affettivo, quindi la presenza e l’interazione con il cane avevano attivato nei piccoli pazienti sentimenti ed emozioni che permettevano aperture di nuove vie di comunicazione e d’intesa con il mondo esterno, tra i più significativi: il rapporto sociale, emozionale e psicologico. Le figure professionali coinvolte sono innumerevoli: dai medici agli infermieri, agli operatori tecnici e sanitari, dagli psichiatri agli psicologi, ai terapisti. Questo tipo d’intervento è riferito a pazienti residenti in strutture ospedaliere o similari, e viene attivata dalla Direzione Sanitaria. L’applicazione della terapia, viene divisa in due branche: animali in visita e/o animali residenti. Gli animali in visita sono di piccola taglia, gatti o roditori. Il progetto consiste nell’organizzare interventi a cadenza settimanale durante i quali ai pazienti viene portato in visita un animale. Si tratta di un progetto da svolgere in gruppo almeno 8 visite. Per attuarlo occorre avere a disposizione una stanza abbastanza grande dove accoglier le persone interessate e l’animale. Gli animali residenti fanno parte di una struttura ospedaliera, i degenti devono sentirsi partecipi di un percorso affettivo ed educativo: di conoscenza e di interazione con gli animali. Per esempio, l’Ospedale Niguarda di Milano ospita al suo interno un reparto di ippoterapia al quale, si sono aggiunti altri animali. Il personale specializzato che gestisce l’impianto incoraggia i piccoli pazienti, provenienti dai diversi reparti dell’Ospedale, ad avvicinarsi agli animali. A d accarezzarli, ad osservarli, anche ad accudirli, a a seconda delle loro possibilità d’azione. Anche l’Ospedale San Raffaele, sempre a Milano, dispone di un parco faunistico a disposizione dei pazienti. La presenza di un animale è in grado di sollevare i pazienti dalle loro angosce. Distraendole dall’ansia, motivandole al dialogo. Inoltre, la consapevolezza di partecipare ad un progetto che dura nel tempo, favorirà lo sviluppo dell’aspettativa. Il desiderio che l’animale ritorni è di per sé un fattore importantissimo, contribuisce ad allargare nel tempo l’effetto benefico della sua presenza. Crea un’attesa che mantiene vivo l’interesse, favorisce il dialogo e accede la motivazione. In ogni campo dove viene applicata la pet therapy gli operatori che strutturano il progetto si avvalgono di una scheda per la registrazione dei dati durante le sedute.